Quis custodiet custodes?

Chi custodirà i custodi? ” si chiedeva Giovenale nelle Satire, quasi duemila anni or sono, con una frase che ancor oggi suona come un monito per chi è deputato a protegger un qualsiasi bene pubblico e un invito a non approfittare del proprio ruolo di “custode” .

Capita poi che, inaspettatamente, i fatti ribaltino la valenza negativa originale di quella frase, scardinando secoli di luoghi comuni sulla figura del dipendente pubblico indolente e “furbetto”, arrivando addirittura a ipotizzare che il retore romano volesse sollecitare la creazione di una sorta di WWF per i custodi – in questo caso museali – per le loro qualità a rischio di estinzione.

Di sicuro, per chi si trovasse di passaggio a L’Aquila e avesse deciso di non perdere uno dei pregi cittadini a denominatore comune “99”, dopo chiese e piazze ovvero la fontana con il centinaio scarso di cannelle, potrebbe avere la ventura di venir salutato da un signore (riconoscibile per il badge con logo MiBACT appeso al collo) che utilizza la sua pausa sigaretta, nel cortile di fronte alla fontana, invitando i presenti ad attraversare lo spiazzo per visitare il MUNDA: Museo Nazionale d’Abruzzo, trasferito in questo edificio nel 2009, dopo il terremoto che aveva reso inagibili le sale del Forte spagnolo che lo ospitava dal 1951.

Quelle poche parole colmano, seppur soltanto per chi coglie quell’evenienza spazio-temporale, la carenza di informazioni e cartellonistica che aiuterebbe turisti e visitatori a scoprire la nuova sede del museo, orfano della sua sede storica e quello che inizialmente potrebbe essere un semplice gesto di cortesia, accettare l’invito, si rivela ben presto un’opportunità rara.

Parlando con Carmine, nome di fantasia, forse, ma che potrebbe calzare bene al personaggio, traspare immediatamente una grande passione per il suo lavoro, per la sua terra, per l’arte e, cosa ancor più rara, per la gioia di condividere con gli altri quanto custodito, in senso letterale, perché solo proteggendo la storia delle opere si rende museo un deposito di oggetti d’arte.

Carmine è un Custode del MUNDA, la maiuscola è doverosa, che non sa resistere alla tentazione di raccontare, coinvolgere, spiegare il come e il perché delle opere e dei manufatti che il museo contiene. Attraverso le sue parole tutto prende vita in una sorta di Jumanji artistico, sicché lo sguardo del visitatore impara a vedere da una prospettiva nuova.

Il suo linguaggio è diretto, colloquiale, lontano dal dotto artistichese di certi esperti o dalle noiose “tiritere” di alcune guide turistiche. Gli esempi e i paralleli con personaggi contemporanei sono illuminanti anche per i più piccoli. La semplicità delle parole non sminuisce i contenuti, anzi, ne aumenta la comprensione. Gli aneddoti su come è avvenuto il recupero, il restauro e il trasporto delle opere, gli escamotage degli operai o dei vigili del fuoco impegnati dopo il sisma. Storie che si incrociano con brevi accenni di vissuto quotidiano: quinte di una rappresentazione che trova così la sua multidimensionalità.

Bisogna programmare un paio d’ore abbondanti per una visita arricchita dalle incursioni descrittive di Carmine, molto più di quanto probabilmente servirebbe per la canonica passeggiata tra i corridoi del museo in autonomia, molto meno del valore che si porta a casa uscendo dal MUNDA.

L’Italia dei mille mandolini – Genova

Non è soltanto l’incalcolabile numero dei campanili a contraddistinguere borghi e città italiane con il loro essere tanto simili quanto diverse, anche lo strumento a pizzico nazionale, il mandolino, potrebbe avere altrettante storie da raccontare. Storie di città, di uomini, di stili di vita che hanno legato milioni di persone a questo magico strumento, che in ogni luogo della penisola ha saputo lasciare una diversa traccia di sé e del suo passaggio. Un segno ogni volta originale, non soltanto per caratteristiche musicali o storiche, che hanno magari contraddistinto un’epoca, ma anche per le persone che quelle epoche hanno vissuto.

Nel corso di poche settimane l’epoca in cui si stava vivendo è improvvisamente finita, lasciando il posto a un nuovo corso, ancora indefinito e in mutamento, ma certamente diverso. In mezzo alle tante, troppe ombre che ha portato con sé, questo momento ha saputo regalare qualche attimo di luce che vale la pena cogliere.

Uno di questi è raccontato dal celebre mandolinista Carlo Aonzo, che ha deciso di utilizzare il tempo dei concerti e delle tournée negate al racconto delle tante, tantissime storie legate alle città italiane e al mandolino. Camei di trascorsi musicali, affetto e passione per lo strumento, curiosità e aneddoti, in una serie di brevi clip lanciate attraverso i social media. Storie di città e della loro musica, protagonista il mandolino.

L’iniziativa verrà presentata in occasione di un  evento musicale digitale: il concerto che Carlo Aonzo terrà sabato 4 aprile, ore 18, con l’Associazione Internazionale delle Culture Unite, attraverso il Genoa International Music Youth Festival (in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Genova – Genoa Municipality) e che organizza ‘The Stage in your Pocket’. Collegandosi alla pagina Fb del Genoa International Music Youth Festival sarà possibile assistere gratuitamente e LIVE ad esecuzioni, lezioni e rubriche inerenti la musica classica e non solo.

“Non si può fermare la musica” recitano le parole di una canzone di qualche decennio fa e molto probabilmente è proprio così.

IL FESTIVAL INTERNAZIONALE DI MUSICA DA CAMERA A CERVO PROMOSSO A PIENI VOTI

Non si è ancora spenta l’eco del concerto di Uto Ughi, da considerarsi come uno dei più partecipati nella storia del Festival, che già cresce l’attesa per i concerti del 31 luglio e del 2 agosto. Il Trio MaLuCe chiuderà il programma di luglio all’Oratorio di S.Caterina, la cui acustica esalterà la performance di Luca Magariello al violoncello, Marco Norzi al violino e Cecilia Novarino al pianoforte. Tre giovanissimi talenti che da “promesse” si stanno confermando come brillanti esecutori nel panorama musicale internazionale. Un programma ambizioso quello che eseguiranno, da Dvorak a Rachmaninoff, passando per Ludwig Van Beethoven, per la gioia del pubblico del Festival, che si sta dimostrando fedele e competente.

Per il 2 agosto si ritorna alla piazza dei Corallini con un altro giovanissimo di grande profilo: Simone Rubino, casualmente anche lui piemontese come il Trio e considerato uno dei più quotati percussionisti europei. Vincitore del Ludwig Albert e del Busch Brothers Prize al Concorso Internazionale ARD di Monaco di Baviera, laurea di eccellenza assoluta per le percussioni, garantirà una serata effervescente, nella quale Rubino si esibirà con la marimba, lo xilofono e diverse altre percussioni, il suo esordio al Festival di Cervo vedrà l’interpretazione di alcuni pezzi di Casey Cangelosi, l’americano soprannominato dalla critica il Paganini delle percussioni oltre ad un brano di Roberto Bocca che ha dichiarato: “Un giorno del 2013 ho avuto la fortuna di conoscere Simone Rubino, giovane percussionista dal talento indiscusso e con una sicurezza nel suonare imbarazzante, al quale ho dedicato 13 brani per marimba-vibrafono-percussioni di cui 4 con orchestra d’archi”.

Ufficio stampa e comunicazione a cura di Communiqué